Frutta di Martorana, frutta Martorana o – più semplicemente – Martorana. È sufficiente una parola per comprendersi tra buoni siciliani.
La Martorana da sola è in grado di rappresentare l’unicità della pasticceria dell’Isola, in particolar modo quella di Palermo.
Le sue origini risalgono ad un passato decisamente remoto, in piena dominazione normanna che ha caratterizzato la Sicilia a cavallo tra l’XI e il XII Secolo.
Proprio sul finire del regno normanno, le monache benedettine del monastero adiacente la Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, ricevettero in visita il Vescovo – o un Cardinale, le fonti storiche non sono chiare -, curioso di vedere con i suoi occhi i giardini del convento noti per la loro bellezza e ricchezza di frutti e ortaggi.
La visita di Sua Eminenza tuttavia cadde in pieno inverno, forse con il maligno intento di sminuire la fama dei giardini, stagione che non avrebbe reso onore ai meriti delle monache, che decisero dunque di riprodurre i frutti artificialmente e porli sugli alberi spogli. Così almeno vuole la leggenda.
Frutti e ortaggi, realizzati con un impasto di acqua, zucchero e mandorle, decorarono il giardino per l’occasione.
Possiamo immaginare che il vescovo deve aver apprezzato tanto l’aspetto quanto il gusto dei frutti dolcissimi del monastero, fondato da Eloisa Martorana. Ecco dunque il nome del dolce palermitano, che nel corso degli anni ha resistito alle influenze culturali delle successive dominazioni, arrivando golosamente ai giorni nostri.
Se l’idea di realizzare frutta va attribuita quasi certamente alle monache, l’impasto – anche noto come pasta di mandorla – pare fosse retaggio dei brillanti pasticceri saraceni, presenti nell’Isola proprio nella dominazione precedente all’arrivo dei Normanni a Messina nel 1061.
La preparazione dei dolci alle mandorle fu prerogativa delle monache benedettine per moltissimi anni, grazie alla quale ottennero ingenti donazioni dai signori palermitani che volevano stupire i propri ospiti alle feste offrendo proprio la frutta martorana. Persino i re e i nobili facevano scorte di dolci alle mandorle, tanto che nacque l’espressione pasta riàli.
L’attività delle suore resistette fino al XIX secolo, quando il regno sabaudo volle sopprimere gli Ordini, così il patrimonio delle monache e i segreti della ricetta furono facile preda dei pasticceri palermitani.
La pasta di mandorle è stata ufficialmente riconosciuta come prodotto agroalimentare tradizionale siciliano e inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf)
I più golosi ne mangerebbero in qualsiasi momento dell’anno, per fortuna di chi deve stare attento alla linea però, la frutta martorana fa capolino a tavola a Novembre, più precisamente per la Festa dei Morti. Tradizionalmente i defunti portano ai familiari doni e dolciumi, per renderne lieve l’assenza, soprattutto ai bambini. Cosa di più dolce della frutta di martorana per tentare grandi e piccoli e prenderli per la gola?
Nasce così U cannistru ri morti, un cesto – tradizionalmente in vimini -pieno zeppo di dolciumi e leccornie tra cui, appunto, la frutta martorana. Insieme a questa, anche le ossa dei morti (biscotti croccanti) i tetù e teio(biscotti glassati allo zucchero e al cacao, croccanti fuori e spugnosi dentro) e i taralli.
Negli ultimi giorni di novembre vedono le vetrine di botteghe, panifici e pasticcerie, sfoggiano coloratissimi cesti ricolmi di frutta, verdure, ortaggi e ancora riproduzioni mignon di piatti salati dello street food locale come focacce con milza, panini con le panelle o qualsiasi altra fantasia del pasticciere.